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Dopo quarant'anni

Aperto da edecapitani, Sabato, 05 Ottobre 2024, 14:02:10

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edecapitani

Quarant'anni fa, all'alba dell'11 agosto 1984, io e Stefano partimmo in bicicletta da casa mia, a Milano, alla volta di Cluny; era nostra intenzione conoscere i monaci della grande abbazia borgognona. Mi ero appassionato alla storia medievale, al mondo monastico e alla riforma cluniacense. Ero anche un accanito pedalatore di tornanti alpini, così, preso da giovanile e scriteriato entusiasmo, decisi di andar in Gallia e vedere di persona i seguaci dei santi abati che fecero grande Cluny: Bernone il fondatore; sant'Oddone, riformatore tanto in campo monastico quanto in quello musicale – gli viene attribuita la notazione alfabetica latina – ; il beato Aimaro, uomo semplice e ottimo amministratore; san Maiolo, chiamato dal suo predecessore, divenuto cieco, al governo di Cluny e della sua congregazione, rapito dai saraceni di Frassineto – e per liberar l'abate si dovette cacciarli dalla Provenza – ed infine determinato nel rifiutare il seggio papale che gli era stato offerto dall'imperatore Ottone II; sant'Odilone che introdusse a Cluny la memoria dei defunti il 2 novembre, poi diffusa in tutto l'Occidente; sant'Ugo di Semur, il grande, che indusse l'imperatore suo figlioccio al (temporaneo) pentimento di Canossa; lo sfortunato Ponzio di Melgueil che fu travolto da scandali ed errori e, all'inverso di Maiolo, tentò di diventare papa e ne uscì scornato, in seguito ai conflitti interni all'abbazia fu deposto ed estromesso da Cluny e alla fine morì scomunicato in una prigione di Roma, dopo aver tentato di rientrare a Cluny provocando, contro la sua volontà, un'insurrezione dei monaci a lui fedeli; il beato Pietro di Montboissier, noto come Pietro il Venerabile, che restaurò i costumi e diede ristoro ad Abelardo nel suo tempo più difficile...
... Insomma, avevo la testa ingombra di segatura e di questioni di stringente attualità e, non avendo usato la prudenza di spingermi oltre il XVI secolo nelle mie cognizioni cluniacensi, non considerai, ignorandola, un'unica ma decisiva circostanza: i monaci di Cluny non c'erano più fin da quella faccenda della Rivoluzione e l'abbazia stessa era stata in buona parte distrutta, non dai giacobini ma da tre fottuti ex preti che la comprarono e la fecero fruttare come cava di pietre. Lo scoprimmo al di là delle Alpi, dopo più di 600 km di bicicletta. La ferale notizia ci fu comunicata da un parroco della Francia post-post-ex-cristiana che io avevo scambiato per il priore claustrale o addirittura per l'abate regnante, alla fine di una messa in una chiesa di Cluny che pensavo fosse quella dell'abbazia:

"O nobilissimo, chinatevi a compassione, vi supplichiamo, di due pellegrini che dalla metropoli di Ambrogio giunsero or ora in velocipede, stremati, sino a questa dimora degli Angeli, e rendete loro noti gli orari del vostro cenobio, gli usi dei vostri santi monaci e l'ubicazione della foresteria dove essi possano rifocillarsi con cibo frugale e vino di Borgogna. Orsù, diteci o venerabile!" "Di qual cenobio, di quale abate, di quali monaci andate favellando, o meschinelli?" "Ma della badia che è luce del mondo e degli angeli di cui siete padre, o inclito" "Qui nel borgo di Clugnì non vi son né monaci né romiti, l'è ormai ducent'anni, o ignorantelli, e pur le mura che furono ostello di uomini santi, disparvero in massima parte per opera di rinnegati e non ve n'è che vaga reliquia, ed io stesso non son che il curato di vuote chiese di campagna. Se dunque andate cercando cenobi viventi, lassù, in un villaggio sul colle, troverete Ruggero e i suoi discepoli. Ma, che diamine, miserabili, prima d'ogni altra cosa vi urgono le abluzioni, ché l'olezzo vostro offenderebbe i figli di Dio persin colà, dove centurie di piedi scalzi e rancide ascelle impregnano l'aere e l'umida terra. Qui non v'è foresteria per ricoverarvi ma, proprio fuori dal borgo di Clugnì, un accampamento di tende e carri abitabili offre ospitalità per pochi denari. Andate dunque, o tapinelli".

Nonostante gli inattesi sviluppi, quel viaggio non fu un fallimento, ebbi giorni d'amicizia, il primo contatto con la Borgogna e, in cambio degli antichi monaci scomparsi, conobbi la comunità ecumenica fondata nel 1940 da Roger Schutz a Taizé, a poca distanza da Cluny, come a raccoglierne il testimone (la apprezzai anche se tutto il contorno non era il mio genere); ebbi infine la soddisfazione ciclistica di alcuni passi alpini e qualcosa d'altro ben più prezioso, ma dobbiamo tornare indietro di un passo, anzi di tre passi alpini.
Dopo due tappe del nostro viaggio fummo bloccati dal maltempo ai piedi delle Alpi e passammo alcuni giorni a Cesana Torinese, accolti da brave persone in vacanza che ebbero pietà delle nostre miserevoli condizioni, poi varcammo il Monginevro e, discesi a Briançon, pedalavamo verso Grenoble – quel giorno il mio animo e i miei muscoli erano proiettati all'appuntamento con i tornanti del mitico Colle del Galibier, un hors-catégorie del Tour de France –, quando, per caso e con la coda dell'occhio, notai un cartello di indicazione turistica – chiesa di La Salle-les-Alpes, XII-XVI secolo – e io, allora totalmente a digiuno di arte ma affascinato dalle antiche architetture fin da quando, in 5a elementare, avevo visitato la Certosa di Pavia con la maestra Brivio, mi dissi e dissi a Stefano "andiamo a vedere". Entrati in quella chiesa mossi da una generica curiosità, fummo colpiti dalla mistica penombra e, reduci da un corso di canto gregoriano organizzato dal coro dell'università, intonammo la Salve Regina solenne che allora, secondo diffusa tradizione, ritenevo opera del monaco di Reichenau Ermanno lo Storpio.

Fu lì, in quel luogo, in quel momento e in quel canto, che feci l'esperienza che mosse buona parre dei miei interessi e delle mie energie nei successivi quarant'anni, fino ad oggi Le successive visite romaniche di quei giorni in Borgogna e quelle degli anni a seguire avrebbero confermato e chiarito la prima esperienza: quello spazio sacro e quel canto, quella materia in cui lo scalpello, il trapano ed un vivace pensiero avevano infuso forma e senso, e quella melodia modellata dai neumi e dall'antica scala modale di re, quelle pietre scaldate dalla luce che scivola su di esse come acqua vivificante intonando lo spartito delle ore e delle stagioni, e quel canto che prende vita e colore ogni volta che una povera voce umana lo attraversa... quelle due entità, anzi quelle tre entità materiali e spirituali (perché anch'io, anche noi eravamo presi dentro la fusione nucleare) sono antropologicamente connesse, canto e spazio sacro sono a misura d'uomo, almeno a misura dell'uomo che nel suo sgangherato cammino terreno, guarda e spera il cielo. Io – anima, corpo e voce, gettato nel mio tempo scettico e nichilista, tempo che m'inquieta, che amo e che attraverso come un viandante attraversa un ponte – ero a mio agio in un luogo e in un canto consegnati da un lontano passato a quel preciso istante, a quel preciso respiro della mia vita e al presente di un mondo che sembra poterne fare a meno. In quel canto e in quel luogo, io ci stavo bene, come sto bene in montagna e non è una fuga dalla realtà, perché, in altro modo, io sto bene anche nel caos di Milano, in casa con i miei famigliari e al lavoro con i colleghi.
Terminato il canto tornammo sui pedali e proseguimmo il viaggio. Quel giorno e nei giorni seguenti scoprimmo i ghiacciai del Lautaret, i tornanti del Galibier, dell'Iseran e del Piccolo San Bernardo, scoprimmo la Borgogna che negli anni sarebbe diventata la mia terra di elezione, i suoi villaggi e le sue chiese di pietra dorata, le sue dolci e severe colline vestite di orgogliose foreste e di vigneti, i pascoli abitati da bianche vacche charollesi raggruppate in drappelli all'ombra di alberi solitari nelle ore più calde, il vino e la saporita cucina.

Soprattutto, cominciai a frequentare il popolo delle immagini di pietra: una sbalorditiva varietà di creature reali e fantastiche abbarbicate sul calcare dei capitelli e dei portali a raccontar storie e visioni scaturite dalla Bibbia e dalle vite dei santi, dai bestiari e dal libro della natura vegetale, dalle leggende, dai tessuti orientali e da sogni e incubi ancestrali. Un grande fiume con i suoi affluenti discesi da sorgenti lontane che, attraversando le valli del tempo e dei secoli, era sfociato nel mare in cui prese vita un intero ecosistema di immagini e io ero lì a rimirar quelle forme robuste, franche e sensuali, a domandarne il messaggio, a farmi interrogare dalle loro enigmatiche attitudini, da quelle parole di pietra ancora feconde dopo un millennio. Fin dall'inizio mi colpì come quella scultura che era l'infanzia della scultura moderna, ingenua e barbara – rozza e spoglia come disse uno storico dell'arte nostro amico – avesse la capacità di narrare e comunicare con grande sapienza adattandosi alle superfici ridotte e alle forme definite da funzioni architettoniche e mi colpì anche la capacità di organizzare le immagini in gerarchie di gesti, posture e figure. Mi colpì la forza retorica di quelle immagini proprio mentre scoprivo la forza, anzi la natura retorica delle prime notazioni musicali.
Negli anni seguenti lessi avidamente Focillon, Duby, Oursel, Shapiro e tanti altri studiosi; mi facevo inviare dalla Francia alla Libreria Francese di Milano – uno ogni mese – i libri sul romanico dell'editore Zodiaque, fino a quando la collezione fu completa. Le eliografie monocrome custodite in quelle pagine, pian piano senza che quasi me ne accorgessi, attivarono in me il virus della fotografia, che già si era insinuato durante la mia infanzia nei pomeriggi di curiosa e ammirata osservazione delle fotografie di mio padre. Poi col crescere della mia biblioteca, potei ammirare le fotografie di maestri come Amendola. Mi ci vollero però molti anni per decidermi a maneggiar le fotocamere senza troppe esitazioni e remore, dovetti superare la convinzione di essere inadatto a qualsiasi cimento manuale.

D'estate si partiva con gli amici – qualcuno in bicicletta, altri in automobile – e si viaggiava nel romanico di Francia e Italia, si entrava nelle chiese, si visitava, poi si cantava. Nelle mie borse da bicicletta cominciai a portarmi un binocolo, una Pentax e qualche rullino.
Nel frattempo, navigavo nella musica e negli antichi manoscritti, grazie all'appassionante impresa dell'ensemble nato dall'amicizia negli anni dell'università, a quella più personale di un gruppo professionale di musica medievale e infine allo straordinario sodalizio artistico, professionale ed umano dei Cantori Gregoriani... E mi facevo inviare i volumi del Corpus Troporum e della Paleographie Musicale, uno ogni mese, finché le collezioni furono complete. Poi vennero le collezioni "Dentro la pittura", "Il Pensiero Occidentale" e tante altre che la mia compulsione volle completare finché anche le superfici murarie della mia camera furono complete e foderate di libri. Così ho sempre viaggiato, sulle strade da pedalatore, sui sentieri da camminatore, tra le righe dei libri come lettore.

Non mi ritengo un "competente" né di musica antica né di arte (né tanto meno di fotografia), qualsiasi giovane che abbia fatto un percorso accademico appena decente ne sa più di me. Piuttosto so di essere esperto, nel senso più semplice della parola, di aver cioè fatto esperienza. Da quel giorno del 1984 mi sono immerso nelle stagioni dell'arte, studiando e osservando le cose sul campo, ho frequentato, trascritto e cantato decine di manoscritti musicali; dopo aver giurato, alla fine del liceo, di non toccare mai più un testo latino, mi sono addentrato nei meandri della paleografia diplomatica e musicale, masticando ogni giorno mediolatino sostenuto dalla competenza degli amici Silvia e Stefano. Ho avuto la fortuna di incontrare buoni maestri con cui ho potuto confrontarmi nonostante non fossi uno dei loro allievi accademici. Quando potevo trascrivevo direttamente dalle pergamene nelle più importanti biblioteche, indossando guanti di seta e giravo le carte con un bastoncino di legno, e alla fine di giornate d'amorosa immersione nelle scritture antiche di mille anni e nei mondi di cui esse erano il segno fissato da anonime mani su pelli di pecora, prima di salire sui moderni treni notturni che mi avrebbero riportato alla mia vita quotidiana, celebravo e sancivo la gioia di quegli incontri cenando con ostriche e champagne o zuppa di cipolle gratinata se ero a Parigi e così per ogni distretto eno-gastro-paleografico che visitavo: Roma, Napoli, San Gallo, Einsiedeln... Ho eseguito tanta musica, nei concerti, nei dischi, nelle liturgie e, soprattutto, sotto la doccia, intonando melodie sopra la nota di bordone prodotta dalla lavatrice in funzione.

Questa è la mia esperienza, queste le passioni che hanno orientato la mia vita e le mie scelte, ne ho goduto i frutti e ne ho pagato il dovuto prezzo e i disagi connessi senza dovermene pentire ed è così che, giunto all'ora che precede il tramonto dei miei giorni, ho pensato di tornare laddove la mia vita ebbe una delle sue svolte e, nuovamente diretto in Borgogna per un viaggio fotografico con una delle persone che condivisero i viaggi della giovinezza lontana, mi sono fermato a La Salle-les-Alpes per immergermi di nuovo in quella penombra, cantare ancora la Salve Regina e fotografare. Avrei voluto con me anche Stefano ma lui è ora un signore, serio, posato ed elegante, preso dai suoi impegni professionali.
Si potrebbe pensare che la situazione mi abbia commosso fino alle lacrime. Così non è stato: io sono rude ma villano, come un tempo dicevano di me. Pacatamente, nelle quattro ore in cui l'ho fotografata, ho notato che la chiesa di San Marcellino di La Salle è assai bella ed eclettica – magnifico il campanile lombardo del XIV secolo, il portico a quattro arcate del XV, gli arredi e le sculture lignee policrome  – ma vi sono tante chiese in cui la rivelazione che ebbi quarant'anni fa avrebbe avuto più senso e giustificazione, Sant'Ambrogio di Milano innanzitutto, proprio accanto alla mia università e in cui un tempo cantavo frequentemente, San Pietro ad Agliate nella mia Brianza, Morimondo a 30 km da casa quando vivevo a QT8, solo per dire le più vicine e a portata di pedale e tante che ho visto negli anni. In fondo è proprio questo che mi convince di quell'inizio, che tutto sia scaturito da un errore, da un cartello visto per caso e che il luogo in cui la mia vita deragliò in una fatale deriva, è sì bello ma ve ne sono di più belli e quasi avrei voluto associare a questo testo altre immagini che sarebbero state più coerenti. Eppure quel che doveva accadere è accaduto proprio lassù, tra i monti della Savoia.

Salve regina misericordiae,
vita, dulcedo, et spes nostra, salve.
Ad te clamamus, exules filii Evae.
Ad te suspiramus, gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia ergo, advocata nostra,
Illos tuos misericordes oculos ad nos converte.
Et Jesum, benedictum fructum ventris tui,
nobis, post hoc exilium, ostende.
O clemens, o pia, o dulcis Maria.

Il testo è la versione più antica dell'antifona, mancante di alcune parole familiari a quanti la conoscono ed è anche la versione annotata alla carta 120 del manoscritto aquitano Paris, BNF, lat. 1139.



1.



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1-6. Il portico di La Salle-les-Alpes
Sigma sdq + 18-35 Art




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7-11 Interno
Sdq + 50-100 Art


Alcuni scatti fatti con Canon R5 + Canon ts-e 17 f/4 L e Canon 400 f/5.6 L:

https://i.postimg.cc/brH67jZJ/B01-001-R5-3755-Pano.jpg

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https://i.postimg.cc/ncpSvMWQ/B01-100b-R5-3761-RID.jpg

13

https://i.postimg.cc/kXs1wqrY/B01-101b-3746-Pano-RID.jpg

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https://i.postimg.cc/fLWkccYr/B01-204-R5-3840.jpg

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https://i.postimg.cc/Yqy7XxPV/B02-103a-R5-3824-Pano-RID.jpg

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https://i.postimg.cc/15zPcdvw/B02-105-R5-3771.jpg

17

https://i.postimg.cc/3x4Tzv5w/C02-104b-R5-3765.jpg

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https://i.postimg.cc/8P79CgyK/C03-243-R5-3811.jpg

19

https://i.postimg.cc/CxY2snht/C04-101-R5-3809.jpg

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https://i.postimg.cc/d03458zW/Z01-103-R5-3841.jpg

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https://i.postimg.cc/Y0KR2TjV/Z01-104-R5-3843.jpg

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https://i.postimg.cc/76TXkqP0/Z01-105-R5-3846.jpg

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  • Enrico
     

agostino

Madonna.

Spero che tu abbia trovato anche un po' di tempo per fare l'amore.

Magari incontrando nel tempo giusto anche la donna sbagliata (in analogia con il tuo ridimensionamento a tergo dell'oggetto delle  giovanili passioni, pur così fruttuose).
  • Agostinocantastorie?
     
Sigma SD Quattro + 18-35 Art; Fuji XE1 + Fujinon 18-55 mm + Touit 12 mm; Contax g2 + 28+ 45 +90 mm.
(Al momento silenti: Yashica fx 3 2000 e Contax aria + contax 35mm f2,8 +contax 50 mm 1,4 + contax 80-200 f4)

Rino

Racconto e foto interessanti. Il racconto è davvero lungo, ma ci fa capire qualcosa in più di te.
Non mi piace la qualità delle anteprime che hai pubblicato: sembrano leggermente sfocate mentre le foto grandi sono nitidissime, ma credo che sia colpa di Postimage, tra l'altro, almeno per me, molto lento a farmi vedere le foto grandi.

Pinus

Bel racconto, capita che a volte la magia provata in un certo luogo influenzi così tanto la vita

BeSigma

Incarni perfettamente ciò che avevo in mento con foto storie, mi piace anche se il racconto è lungo va bene per la chiarezza nei dettagli...

Riguardo alle foto, ho avuto difficoltà a valutare con il cell, rivedrò tutto volentieri dal PC

IP
come se... ridendo dei miei demoni, tenessi fra le mani gli angeli...
SD9 + SD10 + SD14 + SD15 + SD1 + Dp1s + Ottiche serene variabili

http://www.flickr.com/photos/matlin78/
http://500px.com/BeSigma

andrea948

Bellissima storia breve, questa volta il testo vale più di 1000 foto !!
  • Andrea
     

Eros Penatti

Accidenti che bel racconto.

CitazioneCosì ho sempre viaggiato, sulle strade da pedalatore, sui sentieri da camminatore, tra le righe dei libri come lettore.

la fotografia è l'alibi del viaggio, pare ci sia un filo conduttore.
Circa le foto, penso tu abbia fatto un gran bel lavoro !
 

andrea948

  • Andrea
     

Met

Grazie per questa incredibile testimonianza: mi colpisce l'intensità della tua passione (in realtà sono più passioni, che coabitano meravigliosamente), protratta negli anni. Bravissimo.
È bello cio che piace senza concetto.

edecapitani

Grazie a tutti

Citazione di: agostino il Sabato, 05 Ottobre 2024, 14:46:51Spero che tu abbia trovato anche un po' di tempo per fare l'amore.


 :D  :rofl:  :rofl:  :rofl:

A quel tempo, per darmi una svegliata, un'amica stampò e indossò una maglietta con l'immagine di due capitelli romanici piazzati in posizione adeguata... ma niente.
Fino ai mie 23 anni credo di non aver mai destato l'interesse delle ragazze, poi improvvisamente un numero inquietante di loro decise che io ero affascinante e persino un giovane da sposare. Forse ciò accadde per influsso della Cometa di Halley che transitò nei nostri cieli, non trovo altra spiegazione. In seguito, anche se assai tardi, mi sono sposato e... valeva la pena aspettare.

Anch'io ho notato, anche in altre occasioni, la differente qualità degli inserimenti dell'immagine da Postimage rispetto ai collegamenti.

Per me fotografia e viaggio sono alibi l'uno dell'altro. Nel caso dei viaggi con mia moglie, o quelli che faccio come musicista o come educatore professionale e, infine, nelle escursioni di montagna, prevale il viaggio, le cui esigenze e circostanze, dettano i limiti alla fotografia. Nei "viaggi fotografici" invece, che faccio in solitudine, o come in questo caso in compagnia di persone che accettano i disagi dei miei ritmi, il progetto fotografico prevale su tutto. La prossima volta che tornerò in Borgogna, nel Maconnais, sarà una cosa diversa, non centrata sulla fotografia di architettura, vorrei tornare con la bicicletta e fotografare, con poca attrezzatura, il paesaggio, i villaggi e i vigneti. Ci saranno, spero, anche gli amici e la famiglia.

  • Enrico
     

Pinus

Citazione di: edecapitani il Ieri alle 15:56:09Grazie a tutti

 :D  :rofl:  :rofl:  :rofl:

A quel tempo, per darmi una svegliata, un'amica stampò e indossò una maglietta con l'immagine di due capitelli romanici piazzati in posizione adeguata... ma niente.
Fino ai mie 23 anni credo di non aver mai destato l'interesse delle ragazze, poi improvvisamente un numero inquietante di loro decise che io ero affascinante e persino un giovane da sposare. Forse ciò accadde per influsso della Cometa di Halley che transitò nei nostri cieli, non trovo altra spiegazione. In seguito, anche se assai tardi, mi sono sposato e... valeva la pena aspettare.

Anch'io ho notato, anche in altre occasioni, la differente qualità degli inserimenti dell'immagine da Postimage rispetto ai collegamenti.

Per me fotografia e viaggio sono alibi l'uno dell'altro. Nel caso dei viaggi con mia moglie, o quelli che faccio come musicista o come educatore professionale e, infine, nelle escursioni di montagna, prevale il viaggio, le cui esigenze e circostanze, dettano i limiti alla fotografia. Nei "viaggi fotografici" invece, che faccio in solitudine, o come in questo caso in compagnia di persone che accettano i disagi dei miei ritmi, il progetto fotografico prevale su tutto. La prossima volta che tornerò in Borgogna, nel Maconnais, sarà una cosa diversa, non centrata sulla fotografia di architettura, vorrei tornare con la bicicletta e fotografare, con poca attrezzatura, il paesaggio, i villaggi e i vigneti. Ci saranno, spero, anche gli amici e la famiglia.



In che senso i disagi dei tuoi ritmi?

Tino84

Racconto lungo ma bello ed intenso  :si:  :si:

edecapitani

Pinus, nei miei viaggi fotografi fotografo 10/12 ore al giorno, tutto il resto è molto frugale e spartano, se il sito in cui sono fa orario continuato non faccio neppure la pausa pranzo. Chi vuole venire con me è come se venisse in montagna. Beh, se ha la patente gli lascio la macchina per staccarsi un po' da me e dalla fotografia.
  • Enrico
    Â