Quando la pellicola faceva da arbitro tra ottiche e fotocamere, era facile notare (non per tutti), la splendida resa tridimensionale delle ottiche tedesche, spesso accompagnate da aggettivi come "plasticità" e "ariosità" che cercavano invano di dare l'idea perché, una diapositive scattata con un obiettivo tedesco fosse una finestra aperta sul mondo e quella scattata con un obiettivo giapponese no (ma solo gli utilizzatori di tali obiettivi non notavano la mancanza del senso di tridimensionalità, ma solo la grande nitidezza: non notavano che nelle loro foto un pallone fosse un cerchio e non una sfera. Ci pensava il cervello a dare volume alle forme bidimensionali).
Mi sto riferendo a periodi in cui le due scuole erano nette e opposte: le leggi della fisica imponevano che la botte fosse piena o la moglie ubriaca, ma anche all'epoca i diversi costruttori sceglievano la "posizione" (quindi la resa dei loro obiettivi) nel modo che poi li contraddistingueva.
Con gli anni abbiamo trovato un'infinità di compromessi ed alcuni marchi, come Sigma, stanno arrivando ad una resa talmente tedesca da mettere in difficoltà la stessa Zeiss.
A parte le doti degli obiettivi, ci sono quelle dei fotografi, cioè riuscire a scegliere la luce e la successione degli elementi in maniera tale da esaltare la sensazione di tridimensionalità.
Poi sono arrivati i computer, i sensori ed i software di fotoritocco: le foto si elaborano e con alcuni semplici trucchi si fanno miracoli.
E poi c'è il Foveon, che riesce a far sembrare nitido e tridimensionale qualsiasi obiettivo: diciamo sempre che è il sensore ad essere tridimensionale, cosa sulla quale non saprei esprimermi, ma so vedere i risultati e questo mi basta.
Due foto scattate con la sd Quattro appena arrivata, nulla di speciale, jpg in camera ed un obiettivo non eccelso (non ricordo se avevo ancora il Sigma 17-50 o era arrivato il 17-70).

