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Delirio al cospetto di nevi non più perenni

Aperto da edecapitani, Venerdì, 23 Settembre 2022, 15:45:12

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edecapitani



Nel livido gelo di un mattino di settembre Marco e io lasciamo la strada del passo Gavia e ci inoltriamo in un vallone camminando sulla sinistra orografica del Rio Dosegù fino a risalire un pendio morenico a destra di una magnifica cascata ghiacciata incisa nel gradino roccioso su cui poggia il ghiacciaio del Dosegù. Come sempre Marco galoppa, io vado al mio passo con i pesi non sempre ben calibrati della mia mania fotografica.
Il sentiero, di per sé facile, si è trasformato in questo primo freddo autunnale in un serpentone grigio di vivo ghiaccio, impraticabile se non inventandosi un nuovo percorso. Giungo al lago Nero (il mio socio è più aventi), il vento gelido spazza un paesaggio ampio, desolato e maestoso, di roccia rossa e nera, screziato di bianco dalla prima neve e gravato di nubi. Il vento non dà tregua e c’è stata una mezz’ora in cui non avevo sensibilità al naso e alla bocca, come se mi avessero fatto un’anestesia. Per fotografare combatto con il congelamento delle dita e quando cammino, avendo inopinatamente lasciato i guanti a casa, copro le mani con un paio di calze di ricambio.
Sorrido pensando alle “foto ragionate”, lì dopo due scatti non si resiste e anche solo manovrare il cavalletto provoca dolore, persino le due sdq soffrono e non si riusciva a diaframmare.
Ho fame, lungo l’ultima erta che porta al bivacco Skiatori del Battaglione Monte Ortles e, poco dopo, alla cima coi suoi panorami, mangio una barretta energetica ma è gelata e mi si pianta sullo stomaco impedendomi nutrimento e acqua per il resto della giornata così alla fine, tornato al Gavia, sarò disidratato e senza benzina. In realtà, nonostante l’altitudine, è un’escursione facile, con un dislivello poco impegnativo e senza difficoltà tecniche; due giorni prima probabilmente saremmo arrivati in cima in maniche corte ma la montagna non è mai scontata e oggi mi ha messo alla prova.
Eppure la mia è stata una fatica ripagata da una bellezza sublime (cioè magnifica e terribile), inimmaginabile se non a contatto con la natura, una fatica scelta liberamente, valutando onestamente i rischi, le mie capacità residue e i benefici (in montagna sto bene anche quando sono stanco o inquieto), condivisa con un amico col quale mi piace andare perché si cammina solitari e ci si ritrova e in auto si chiacchiera di tutto fino, talvolta, a perdere la strada.
Ma â€" camminando tra i resti di trincee, reticolati e baraccamenti, visibili lungo tutta la cresta del Pizzo di Vallumbrina - penso agli alpini della Grande Guerra, austro-ungarici e italiani, che un secolo fa qui hanno vissuto e combattuto in un freddo ancora più intenso, non per diporto né per loro scelta, affrontando un nemico fatto di ragazzi anche loro schiacciati da un tragico giogo e intirizziti dal freddo. Su quel sentiero che io ho percorso portandomi in spalla un cavalletto e due fotocamere leggere, quei ragazzi trascinarono con le loro forze e quelle dei muli armamenti pesanti e tutto ciò che era necessario alla sopravvivenza e alla guerra in montagna. Su questi monti la Guerra Bianca uccise forse più col freddo e gli stenti che con le pallottole degli austriaci (o degli italiani se si guarda la cosa dall’altra parte). Qui non ci fu il macello del Carso o della Somme ma si moriva.
Nel 1918, quando ormai si era capito che i destini del conflitto non si sarebbero decisi sulle vette alpine, la Guerra Bianca si era evoluta, si utilizzavano le tute mimetiche bianche e c’erano reparti specializzati come gli Skiatori del Battaglione Ortler che danno il nome al bivacco sulla cresta del Vallumbrina. Sulla vetta del San Matteo, visibile in foto sulla tre quarti a sinistra, a quasi 3700 m di altitudine, gli austro-ungarici avevano piazzato un obice bianco ed un osservatorio, avevano anche scavato una galleria attrezzata a dormitorio e deposito munizioni. Gli austriaci occupavano anche il Matello, mentre sul Tresero, sul Dosegù, sul Vallumbrina e sul Gavia c’erano le postazioni italiane.
Nell’estate del 1918, su queste vette, si svolse la “battaglia del S. Matteo” che, fino al 1984, fu quella combattuta a più alta quota nella storia: morirono 17 austriaci e 10 italiani e rappresentò l’ultima vittoria austro-ungarica della guerra…

… E penso anche a mio padre che la guerra, la seconda, la fece in Grecia e nel settembre del ’43 attraversava i monti della Tessaglia in fuga da tedeschi e partigiani, senza viveri né abbigliamento adeguato. Quando ero bambino mi raccontava di quei suoi commilitoni che morirono mangiando funghi velenosi, pur avendo visto altri morire per gli stessi funghi il giorno prima. Mi raccontava il decorso dell’inedia e di come si salvò, della cattura, del professore universitario che conobbe all’inizio del viaggio estenuante nel carro bestiame verso il campo di prigionia in Germania e che morì di stenti e follia alla fine del viaggio…
Lungo il cammino, in una pausa della discesa, sostiamo insieme ad uno studioso del Servizio Glaciologico Italiano che dirotta la nostra attenzione dalla storia alla glaciologia e a quel che sta accadendo (adesso non fra dieci anni) ai nostri nevai e ai nostri fiumi. Davanti ai nostri occhi il ghiacciaio del Dosegù è bellissimo ma in evidente scioglimento, con ampie finestre di roccia non più ricoperte da nevi perenni e l’impressionante caverna azzurra prodotta dal distacco di un seracco, come se la bocca della montagna avesse perso un dente.
Scendendo, il serpente di ghiaccio che il mattino era vivo e duro, ora, scaldato dal sole, è più cedevole, le superfici sono friabili, come quando si sbrina il freezer; così, pur col cuore appesantito dal destino dei ghiacciai, mi rallegro dell’effimero disgelo che rende più sicuri i miei passi.
Il giorno seguente (i turni di lavoro mi avevano concesso liberi la domenica e il martedì successivo… cioè, non sono né in ferie né in pensione, lavoro anche se gli amici di un tempo stenterebbero a riconoscere nel tremolante vecchio di oggi l’aitante farabutto dei giorni migliori) ero tentato di tornare lassù in solitudine per raggiungere il Mantello e riprenderlo agli austriaci… no beh, nonostante la sconfitta nella battaglia del S. Matteo queste cime ora sono tutte italiane ma, dal Mantello la vista è ancora più ampia. Alla fine decido di rimandare all’anno prossimo e prevedo di dormire nel bivacco Battaglione Skiatori Monte Ortles per godere delle luci di alba e tramonto.
Per chi vuol godere la solennità dei ghiacci, delle rocce e delle vette retiche è un’escursione appagante e consigliata… ma non lasciate a casa i guanti.

Nella prima foto, a corona del ghiacciaio del Dosegù si vedono: la Cima Villacorna (3447 m) sul margine destro, poco più a sinistra la piramide del Monte Mantello (3517 m), la piramide bordata di neve della Punta S. Matteo (3678 m).

Le foto sono scattate con dp0q e dp3q, alcune (poche) col cavalletto, le altre a mano libera





I gruppi della Presanella e del Brenta, ripresi in controluce dalla cresta del Vallumbrina:






Il gradino del ghiacciaio del Dosegù, col Pizzo Tresero, la caverna creata dal distacco di un seracco e la cascata ghiacciata:








A COLORI




Il Lago Vallumbrina, un gioiello turchese incastonato nelle Alpi Retiche:






I laghetti di Vallumbrina:






Il Lago Nero:






Sullo sfondo, a destra il Pizzo Bernina (4050m):






In vista della cresta del Vallumbrina, si notano il tetto del bivacco Skiatori del Battaglione Monte Ortles, la campana e la croce:



Ghiacciaio e cascata:






Poco sopra la strada del Gavia, sullo sfondo l'Ortles (3905 m) e, sul margine destro il Gran Zebrù (3857 m)

  • Enrico
     

Rino

Belle le foto, in particolare quelle in BN, ma il testo è la cosa che mi ha colpito di più (pensavo che fosse tratto da un libro: lo stile narrativo è molto simile a quello di "Itala: la Pechino-Parigi").

Eros Penatti

Un bel racconto Enrico, una bella giornata supportata da foto stupende, cosa voler di più ?
Complimenti per tutto  :si:

brigante

  • Marco
     
Prendi la macchina fotografica e vai.

edecapitani

Grazie Rino, cercherò e leggerò il libro che hai indicato, qui si impara sempre qualcosa.
Grazie a Eros e Marco
  • Enrico
     

tik68mi

Che lavoro, belle!
Anche mio nonno dalla Grecia finì in Germania, per tornare a Milano a piedi, 38kg.... dopo tutto.
Riccardo arch. Battaglia
Dp0 quattro

edecapitani

  • Enrico
     

EXCEL

complimenti per tutto e in questo momento anche un pochino di sana invidia da parte mia, saranno 3 mesi che non riesco a fare una escursione decente.

Anni fa ci andai con la mia morosa su queste montagne, dormii al rifugio Bernina e alle 4 del mattino ero fuori per fotografare il lago bianco , un freddo amplificato dal fortissimo vento mai sentito prima, fortuna avevo i guanti cinesoni elettrici con le batterie, che spesso sono causa di battutine da parte di altri escursioni e alpinisti, ma quando ci infili le mani dentro e fuori fanno -20 qualcosa, non pensi piü alle battutine ahaahah

PS: mi passeresti il percorso/gpx? anche privatamente su vuoi


www.roberto-monachello.com
Sigma SD15 + Sigma 18-200 C

edecapitani

Grazie Excel! Tu hai dalla tua parte l'età.
Credo che cercherò i guanti cinesi. Sono imbranato con le tracce ma ci provo volentieri. Intanto considera che il percorso è molto facile. Si parte dal Benini, sulla strada del Gavia e per un lungo tratto segue lo stesso percorso della Punta S. Matteo. Ti manderò tutto.
  • Enrico
     

Mariano San

La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità

:san:

edecapitani

  • Enrico
    Â