Un po’ deluso ma con un paio d’ore di luce a disposizione mi soffermo nei pressi di Villa Mirabellino, dinnanzi alla quale si estende verso ponente una radura, chiusa a settentrione da un boschetto e attraversata sul fondo da un bellissimo doppio filare di alberi, oltre il quale la radura si allarga. Il sito mi aggrada: la villa serrata e un poco decadente, il boschetto che a camminarci dentro par d’essere in una piccola giungla perché non ripulito da tempo, gli alberi, alcuni dei quali presentati da pannelli esplicativi a favore degli ignoranti curiosi come me.
Al limitar tra bosco e radura, poco distante dal fronte della villa, sorge un bell’albero di alto e dritto fusto: è un liriodendro, o albero dei tulipani (Liriodendron tulipifera). È una pianta nordamericana, originaria della costa orientale, portata in Europa nel 1748 come pianta ornamentale, grazie soprattutto ai suoi fiori che, come si può intuire, assomigliano ai tulipani. Ben si presta anche alla produzione di legname: il suo fusto infatti cresce rapidamente e bello dritto fino a 30 m di altezza (ma a Sirtori, in Brianza, ve n’è uno che raggiunge i 52 m e mi studierò d’introdurmi nei giardini di Villa Besana per far la sua conoscenza) e a 3 m di circonferenza, tanto che gli indiani… anzi, i nativi d’America (meglio esser corretti, qualcuno potrebbe accanirsi sulle mie statue ed effigi in giro per il mondo), i Nativi dicevo, da un tronco ricavavano una canoa capace di trasportare 20 persone.
La chioma è piramidale e luminosa e, come si può vedere nelle fotografie, il liriodendro non è una pianta sempreverde, le sue belle e grandi foglie quadrilobate sono decidue: dopo aver magnificamente gialleggiato in autunno, cadono a terra morte per esser riciclate dalla vita.
I fiori – che, non mi stanco di ripeterlo – assomigliano ai tulipani, altrimenti l’albero avrebbe un altro nome e nessuno si sarebbe scomodato d’andar fino alla Merica per onde e procelle per accaparrarselo – hanno una coloritura verde pallido con del giallo e dell’arancio alla base dei sei petali. Sono ricchi di nettare e negli States sono apprezzatissimi per il miele che le laboriose api ne traggono nella loro industria di trasformazione. A tal poposito, molte persone intorno a me confondono le api con le vespe, a volte son tentato di dir loro che le api ci offrono una lunga lista di cose utili mentre le vespe ci pungono soltanto ma mi taccio temendo accuse di specismo e, di nuovo, violenze e sfregi sulle mie statue, cancellazioni delle mie effigi e la damnatio memoriae.
I frutti, conici, assomigliano a pigne e, quando è tempo, i semi alati prendono il volo portati dal vento verso nuove generazioni. Di tutto questo, a parte il miele per cui bisogna rivolgersi alle api, nulla è commestibile; se qualcuno volesse panare e friggere i fiori come si fa con quelli della robinia e della zucca, se lo tolga dalla testa, è tutta roba tossica.
Il Liriodendro ama i climi con inverni nevosi ed estati non troppo aride, sopporta qualche gelata, anche a -30°, si gode volentieri il sole e i terreni freschi e profondi. Quando fu piantata da queste parti, il Parco di Monza era un buon posto, ora forse si deve un poco adattare.
Ha una buona resistenza ai parassiti che raramente la attaccano… meglio per loro dedicarsi a piante meno combattive.
Le riprese complete dell’albero le ho fatte, ahimè per una svista, solo con la Canon.
foto 3, 4, 5, 6: il liriodentro